Valido il dietrofront del Comune che emette l'ordinanza di demolizione dopo aver dato il permesso a costruire.
(T.A.R. Veneto Sentenza sentenza n. 38/2014)
Il Comune, dopo aver concesso il permesso a costruire, emette ordinanza di demolizione per “la violazione delle prescrizioni circa l’osservanza delle distanze delle nuove costruzioni dai confini di proprietà e dai fabbricati siti nelle aree confinanti.”
Il caso analizzato.
Una società edile si vede notificare nel 2012, dal Comune di Vicenza, l’ordinanza di demolizione avverso la quale propone ricorso,chiedendone l’annullamento. La società era in possesso del permesso di costruire del 2009, rilasciato dallo stesso Comune ai sensi della Legge n. 14/2009. Mentre l’amministrazione era intenzionata ad archiviare il procedimento, “non ritenendo sussistente un pubblico interesse all’annullamento,” alcuni confinanti hanno sollevato la violazione delle prescrizioni in materia di confini, interessando il Tribunale di Vicenza, che ne accertava l’effettiva violazione. A seguito di ciò scaturisce il provvedimento del 22 maggio 2012 il Comune, ordinante la demolizione dell’intero corpo di fabbrica realizzato dalla società, rilevando come le difformità accertate rivelassero una diversa localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza, nonché la realizzazione di volumi in violazione delle distanze dai confini e dagli edifici circostanti, violazioni che comportavano l’applicazione del disposto di cui all’art. 32, lettera c) del D.P.R. 380/01.
La decisione.
Con Sentenza n. 38/2014, il T.A.R. Veneto, che specificatamente ha ritenuto “ le difformità, ritenute dall’amministrazione come riconducibili alle ipotesi di variazioni essenziali, ai sensi dell’art. 32 lettera c) del D.P.R. 380/01, riguardano il rispetto della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza e la violazione delle prescrizioni circa l’osservanza delle distanze delle nuove costruzioni dai confini di proprietà e dai fabbricati siti nelle aree confinanti.”
Il T.A.R., ha esaminato la Consulenza Tecnica di Ufficio esperita in sede civile, che rilevava alcune difformità, ma, come la ricorrente sottolineava, non fossero di grave entità.
Infatti dalla CTU non emergeva la violazione “ della sagoma del progetto originario per quanto attiene alla localizzazione dell’intervento”, pertanto “ il Collegio non può che convenire con l’assunto difensivo di parte ricorrente circa la non riconducibilità delle pur esistenti difformità all’ipotesi di variazioni essenziali previste dal Testo Unico dell’Edilizia, al fine di giustificare l’ordine di demolizione imposto dall’amministrazione con i provvedimenti impugnati.”
Il ricorso è stato accolto poiché, “non essendo stato adeguatamente comprovato e motivato negli atti impugnati il presupposto di fondo su cui si è basato l’ordine di demolizione integrale dell’edificio imposto dall’amministrazione, ossia, come più volte osservato, la sussistenza di difformità tali da comportare variazioni essenziali del progetto assentito, in punto localizzazione e violazione delle norme sulle distanze, così come qualificabili ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. 380/01 e quindi suscettibili di essere sanzionate con l’integrale demolizione dell’edificio.”
I precedenti.
In particolare si segnalano i precedenti giuridici riguardanti la definizione della sagoma degli edifici, ritenuta come “ a conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti.” (Cass., III: 09.10.2008, n. 38408; 06.02.2001, n. 9427.)
Nell’ordinamento costante, si riscontra che “ la ristrutturazione edilizia individua un intervento dove non si assista ad alcun incremento per i volumi, le sagome e le superfici, salvo una diversa distribuzione di quelle assentite, né una maggiore o diversa occupazione delle aree di sedime), evidenziando come lo spostamento della collocazione del manufatto costituisce una nuova costruzione e non un intervento sull’esistente.” (Consiglio di Stato, sez. VI, 16.12.2008 n. 6214; Consiglio di Stato, sez. V, 15.04.2004 n. 2142.)
Quanto alle questioni in merito alle distanze, sollevate dai controinteressati, la Giurisprudenza sostiene che queste, “ anche in relazione a quanto previsto dal d.m. n. 1444 del 1968, vanno calcolate con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela.” (Cons. Stato, sez. IV, n. 7731 del 2010 e n. 6909 del 2005) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 05.07.2012 n. 807)
La normativa.
A conclusioni dell’analisi del caso di specie preme sottolineare che in materia edilizia, con l’intento di semplificare i procedimenti, il legislatore è intervenuto con l’ormai noto Decreto del Fare. (D.L. n. 69/2013, convertito in L. n.98/2013). Prima di parlare della nuova normativa, una piccola parentesi in merito alla normativa previgente va fatta, in modo tale da poter sviluppare un confronto. Il punto di partenza è il Decreto Ministeriale 2 aprile del 1968, n. 1444, il quale prevedeva i limiti , inderogabili, di densità edilizia, ex articolo 7, limiti di altezza degli edifici, ex articolo 8, i limiti di distanze tra i fabbricati, ex articolo 9, in particolare, il comma 1, n. 2, per le nuove costruzioni, prescriveva l’obbligo della “ distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.” Un accenno merita anche il Decreto Legislativo dl 22 gennaio 2004, n. 42, ( Codice dei Beni Culturali) che all’articolo 146, prevedeva l’obbligo, per i possessori di immobili ritenuti beni culturali, di non poter fare autonomamente le modifiche, bensì solo dietro un iter documentale di autorizzazione da parte dell’amministrazione dell’ente regione o provincia. Questa normativa è stata riformata dall’introduzione del T.U.E. ( D.P.R. n. 380/2001), che, con l’articolo 2bis, ha previsto le deroghe in materia di limiti di distanze fabbricati, riguardanti le sole province autonome, mentre all’articolo 10, comma 1, prevedeva che “costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.”
Recentemente, il legislatore è intervenuto con il Decreto del Fare, che all’articolo 30, comma 1, lettera c. ha soppresso l’obbligo della sagoma.
Articolo di Dott. Emanuele Mascolo
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