Trasformare un balcone in veranda vuol dire andare incontro a contestazioni per la violazione del decoro architettonico
La trasformazione di un balcone in veranda rientra tra quegli interventi che, per nozione di comune esperienza, possono essere annoverabili tra le opere modificative del decoro architettonico dell’edificio.
Insomma se si trasforma quella parte accessoria aperta dell’unità immobiliare, in un vero e proprio vano aggiuntivo della medesima, oltre alle eventuali sanzioni per gli illeciti penali ed amministrativi, il condomino andrà quasi certamente incontro ad un’azione condominiale per lesione del decoro dell’edificio.
Si badi: ciò può avvenire anche se l’opera edilizia è supportata dalle necessarie autorizzazioni comunali.
Il motivo è semplice: le pubbliche amministrazioni, solitamente, rilasciano questo genere di autorizzazioni (o atti comunque nominati) mantenendo salvi i diritti di terzi. Insomma l’autorità pubblica verifica se dal suo punto di vista è tutto regolare, ma non può limitare i diritti degli altri, in questo caso degli altri condomini.
Ma che cosa vuol dire esattamente “decoro architettonico” dell’edificio.
La Corte di Cassazione è tornata a esprimersi sul concetto di decoro con la sentenza n. 27224 del 4 dicembre 2013.
Le pronunce giurisprudenziali in merito assumono sempre interesse in quanto il codice, nemmeno con l’approvazione della riforma (legge n. 220/2012), fornisce una definizione di decoro.
La sentenza n. 27224, s’inserisce nel solco dei precedenti pronunciamenti.
Si legge nella pronuncia: “per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia.
L'alterazione di tale decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere che immutino l'originario aspetto anche, soltanto, di singoli elementi o punti del fabbricato tutte le volte che la immutazione sia suscettibile di riflettersi sull'insieme dell'aspetto dello stabile.
Va anche osservato che l'indagine volta a stabilire se, in concreto, un'innovazione determini o meno l'alterazione del decoro di un determinato fabbricato è demandata al giudice di merito il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato” (Cass. 4 dicembre 2013 n. 27224).
Ad ogni buon conto è sempre bene tenere a mente che, sono stati gli stessi ermellini, a dirlo l’alterazione deve tradursi in un danno economico per le parti comuni e/o per le parti di proprietà esclusiva (cfr. Cass. n. 1286/2010). Nella sentenza n. 27224 sembrerebbe constatarsi anche un’affermazione di principio come la seguente: la costruzione di un veranda comporta automaticamente la violazione del decoro, sicché sta a chi l’ha posta in opera dimostrare il contrario.
Se questo fatto fosse confermato ci troveremmo di fronte ad un sostanziale ribaltamento dell’onere probatorio (non è chi accusa a dover provare l’esistenza dell’alterazione estetica ma chi si difende a dover dire che l’opera non ha comportato ciò).
In questo contesto di cose, è bene ricordare che “non può avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un'opera modificativa compiuta da un condomino, quando sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non sia stato preteso il ripristino: la valutazione circa il degrado della facciata del fabbricato è oggetto riservato all'indagine del giudice di merito che è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. Nella specie, la sentenza con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha evidenziato come le originarie linee della facciata erano state stravolte dai diversi interventi che nel corso degli anni erano stati effettuati dai singoli condomini con la realizzazione di verande, apposizioni di tubazioni con colori differenti” (Cass. 7 settembre 2012, n. 14992).
Come dire: la veranda, che non sia la prima costruita, non può essere considerata alterativa della facciata dell’edificio.
Articolo di Avv. Alessandro Gallucci
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