Non rientra tra i poteri dell’amministratore quello di ricorrere in Cassazione contro la sentenza che condanna il condominio al pagamento delle competenze del suo predecessore

28.01.2014 16:18

La saga, così può essere definita fuori dal linguaggio giuridico, delle sentenze riguardanti la competenza giudiziale dell’amministratore di condominio si arricchisce di un nuovo capitolo.

Innanzitutto è bene inquadrare la questione nei suoi aspetti fondamentali.

Legittimazione attiva e passiva dell’amministratore condominiale.

"L'amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato” (così, tra le tante, Cass. SS.UU. n. 9148/08).

Questa è la sostanza giuridica del rapporto tra amministratore e condominio espressa per lungo tempo dalla Suprema Corte di Cassazione e di seguito esplicitamente accolta dal legislatore nel testo del codice civile (cfr. art. 1129, quindicesimo comma, c.c. così come modificato dalla legge n. 220/2012).

Il mandatario del condominio, in ragione del proprio potere di rappresentanza dei condomini in relazione alle parti comuni dell’edificio, ha un potere d’azione che si sostanza tanto nel compimento di azioni stragiudiziali (es. pagamenti, riscossioni, stipule contratti), tanto nella possibilità di agire e resistere in giudizio nelle cause che riguardano il condominio.

Tutto ciò è sancito dall’art. 1131 c.c., il cui primo comma, ad esempio, recita:

Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.

Il condomino non paga le rate?

L’amministratore può agire per ottenere un decreto ingiuntivo di pagamento.

Il condomino non rispetta il regolamento condominiale?

L’amministratore può fargli causa per ottenere tale risultato.

Un terzo non rispetta la servitù di passaggio esistente fin dalla nascita della compagine?

Idem, l’amministratore può agire per le vie legali per ottenere la tutela dei diritti dei condomini.

Il secondo e terzo comma dell’art. 1131 c.c., riguardante le cause nelle quali il condominio è citato in giudizio, recitano:

Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell'autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto.

Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell'amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini.

La norma ha creato grossi problemi interpretativi: per lungo tempo s’è detto che per qualunque azione riguardante il condominio si poteva chiamare in causa l’amministratore ed egli era sempre legittimato a partecipare all’azione anche se la materia non era inclusa tra quelle di sua competenza. In tal caso, si diceva, le responsabilità per l’omessa informazione dei condomini ricadono solamente nei rapporti interni. Questa voce non era l’unica, sebbene rappresentasse l’orientamento maggioritario, e spesso sorgevano incertezze e contrasti interpretativi sulla legittimazione passiva dell’amministratore di condominio.

Le Sezioni Unite hanno risolto la questione più o meno in questo modo: nelle azioni attive e passive riguardanti la gestione del condominio, l’amministratore può agire e resistere nel limite dei propri poteri. Nella altre egli può agire ed essere chiamato in causa previa delibera di autorizzazione o grazie alla ratifica della propria azione da parte dell’assemblea. Diversamente deve arriva resi alla conclusione che l’amministratore è carente di legittimazione a stare in giudizio (cfr. Cass. SS.UU. n. 18331-2/2010).

Ergo: se si tratta di azioni intraprese dall’amministratore, esse devono essere dichiarate inammissibili, mentre se l’amministratore è chiamato in causa il condominio sarà contumace.

La sentenza, tuttavia, non sempre è stata ben interpretata ed ha fatto si che tutte le azioni, quali ad esempio ricorsi per cassazione, appelli, ecc. fossero soggetti alla preventiva autorizzazione assembleare anche se chiaramente rientranti nelle attribuzioni dell’amministratore di cui all’art. 1130 c.c.

In un caso recentemente risolto dalla Cassazione si litigava in merito alla condanna del condominio al pagamento delle spettanze di un precedente amministratore di condominio. L’attuale amministratore non condivideva la sentenza di condanna della Corte d’appello e la impugnava.

Secondo gli ermellini doveva “ essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall'amministratore del condominio, senza la preventiva autorizzazione assembleare, eventualmente richiesta anche in via di ratifica del suo operato, in ordine ad una controversia riguardante i crediti contestati del precedente amministratore revocato, in quanto non rientrante tra quelle per le quali l'organo amministrativo è autonomamente legittimato ad agire ai sensi dell'art. 1130 c.c. e dell'art. 1131 c.c., comma 1, come appunto nella fattispecie " (Cass. n. 2179/2011; S.U. n. 189331 del 2010) (Cass. 27 dicembre 2013 n. 28701).

In effetti questa materia non è indicata tra quelle inserite nell’art. 1130 c.c. e di conseguenza le azioni giudiziali che la riguardano devono essere decise dall’assemblea.

Articolo di Alessandro Gallucci
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