Ma è sempre necessario un titolo abilitativo per l'eliminazione delle barriere architettoniche?

11.02.2014 15:21

(T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, sent. 29 gennaio 2014, n. 200)

La fattispecie in esame. Il ricorrente è proprietario di un lotto di terreno “che, da oltre trent’anni, risulta completamente recintato con recinzione in blocchi di cemento e con apertura con cancello in ferro e pilastri in cemento armato”.

Poiché tali opere ostacolavano l’accesso all’immobile da parte della madre disabile del ricorrente, si sono resi necessari dei “lavori di riparazione della detta recinzione nonché di abbattimento delle barriere architettoniche”. Il proprietario, pertanto, comunicata all’amministrazione comunale la denuncia di inizio attività, ha eseguito tali opere.

Il Comune, però, dopo aver dichiarato che la d.i.a. non poteva essere accolta perché contrastante con la normativa in vigore, ha disposto il ripristino dello stato dei luoghi.

Sul ricorso avverso tali provvedimenti comunali si è pronunciato il T.A.R. Calabria (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, sent. 29 gennaio 2014, n. 200) che ha annullato gli atti impugnati.

L’eliminazione delle barriere architettoniche. La giurisprudenza ha chiarito che sono opere di “eliminazione delle barriere architettoniche” solo quelle tecnicamente necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la “visitabilità” degli edifici privati e non quelle dirette alla migliore fruibilità dell'edificio e alla maggior comodità dei residenti (T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, sent. 19 aprile 2013, n. 952; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, sent. 24 febbraio 2012, n. 87; T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, sez. I, sent. 8 novembre 2011, n. 526).

Proprio per assicurare a tutte le persone tali garanzie la normativa di settore e la relativa giurisprudenza “hanno elevato il livello di tutela dei soggetti portatori di minorazioni fisiche, che oggi non è più relegato ad un ristretto ambito soggettivo ed individuale, ma è ormai considerato come interesse primario dell’intera collettività, da soddisfare con interventi mirati a rimuovere situazioni preclusive dello sviluppo della persona e dello svolgimento di una normale vita di relazione (Corte Costituzionale 10 marzo 1999, n. 167, e 4 luglio 2008, n. 251, e da ultimo T.A.R. Campania, sede Napoli, sez. IV, 14 novembre 2011, n. 5343)” (T.A.R. Abruzzo - Pescara, Sez. I , sent. 24 febbraio 2012, n. 87).

L’attività edilizia libera ex art. 6 del d.P.R. 38 del 2001. Nonostante la rimozione delle barriere architettoniche sia posta a garanzia di situazioni tutelate a livello costituzionale (artt. 2, 3 e 32 Cost.), si ritiene che esse possano essere bilanciate con altri beni ugualmente tutelati, senza che ciò possa comportare una violazione del principio di parità di trattamento.

Per esempio, nel bilanciamento tra l’interesse alla tutela del patrimonio storico-artistico nazionale e quello alla salvaguardia del diritto alla salute ed al normale svolgimento della vita di relazione e socializzazione dei soggetti in minorate condizioni fisiche, tale normativa è stata data prevalenza in via generale al secondo, consentendo, tuttavia, il diniego dell’autorizzazione alla realizzazione di interventi su beni vincolati nei soli casi di accertato e motivato “serio pregiudizio" del bene vincolato (T.A.R. Sicilia, sede Palermo, sez. I, 4 febbraio 2011, n. 218, T.A.R. Campania, sede Napoli, sez. IV, 15 settembre 2011, n. 4402, e T.A.R. Toscana sez. III, 25 ottobre 2011, n. 1546); mentre, nel bilanciamento degli interessi in gioco si è ritenuto, al contrario, prevalente quello relativo al rispetto della normativa antincendio (Cons. St. sez. V, 8 marzo 2011, n. 1437).

Recentemente, inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che rientrino “nell'attività edilizia libera, ai sensi dell'art. 6, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, qualora consistano in interventi volti all'eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edifici”.

Negli altri casi, quindi, invece, “la realizzazione di rampe o ascensori esterni o manufatti che comunque comportino un'alterazione della sagoma dell'edificio, trattandosi di opere non ricomprese nell'art. 10 - il quale sottopone a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso - trova applicazione l'art. 22 dello stesso d.P.R., a norma del quale sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 e all'articolo 6. A tale disposizione si sovrappone oggi l'art. 19 della legge n. 241 del 1990, come modificato dal d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, il quale consente che, per le opere soggette a d.i.a ordinaria, si proceda, in via semplificata, con s.c.i.a. (segnalazione certificata di inizio attività) (Cass. Pen., sez. III, sent. 18 settembre 2013, n. 38360).

La sentenza in esame. La pronuncia in commento ha sottolineato che “come afferma costante e condivisibile giurisprudenza, in materia edilizia sono da considerarsi lavori di nuova costruzione ai sensi del T.U. 6 giugno 2001 n. 380 per i quali occorre il permesso di costruire quelli che realizzano manufatti che si elevano al di sopra del suolo e che comunque trasformano durevolmente il territorio impegnato; pertanto, in riferimento ai muri di recinzione occorre il titolo ampliativo quando, tenuto conto della struttura e dell'estensione, essi modifichino l'assetto urbanistico del territorio essendo sufficiente in caso contrario la denuncia di inizio attività ai sensi dell'art. 22 del medesimo T.U. pena sanzione pecuniaria salvo che l'area non sia coperta da vincoli tali da comportare la restituzione in pristino (cfr. TAR Aquila, 7 marzo 2012 n. 154)”.

Nella fattispecie oggetto del giudizio, quindi, “in ragione della risalente preesistenza della recinzione di che trattasi e della tipologia di interventi in questione, in parte manutentivi ed in parte orientati all’abbattimento di barriere architettoniche”, il Collegio ha ritenuto che non fosse necessario il permesso di costruire,ma necessita di denuncia di inizio attività ai sensi dell'art. 22 comma 1 T.U. 6 giugno 2001 n. 380, per consentire al Comune di valutare le conseguenze dell'opera sul territorio, con l'avvertenza che, nello stesso tempo, qualora la realizzazione non sia vietata dagli strumenti urbanistici vigenti e non comporti violazione di vincoli paesistico-ambientali o di altra natura, la mancanza della d.i.a. ha rilievo solo formale ed è sanabile in via ordinaria attraverso gli strumenti indicati nell'art. 37 commi 1 e 4 T.U. n. 380 del 2001”.

Conclusione. L’attività edilizia deve sempre essere realizzata previa ponderazione degli interessi contrapposti, soprattutto quando le situazioni “in conflitto” sono tutelate a livello costituzionale. Pertanto, appare ragionevole la scelta del legislatore e della giurisprudenza, da un alto, di incentivare la eliminazione delle barriere architettoniche, dall’altro lato, di limitare tale “libertà edilizia” esclusivamente a determinate tipologie di interventi costruttivi.

di Avv. Gian Luca Ballabio
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