Rendiconto approvato, morosità e decreto ingiuntivo

25.03.2014 16:12

Ogni qualvolta l'assemblea condominiale approvi il rendiconto annuale di gestione e da esso risultino posizioni debitorie di alcuni condomini, l'amministratore deve agire per recuperare le somme e nel corso del giudizio di opposizione al decreto non si possono fare valere motivi di nullità o annullabilità della delibera di approvazione.

Firmato Corte di Cassazione, sentenza n. 6236 del 19 marzo 2014.

La pronuncia, riguardante una controversia sorta prima dell'entrata in vigore della riforma, pur inserendosi nel consolidato ed univoco orientamento giurisprudenziale, contiene alcuni elementi che meritano di essere evidenziati anche per i riflessi pratici che continuano ad avere piena validità nel vigore della nuova disciplina.

Il caso è di quelli usuali: una condomina non paga le spese condominiali e l'amministratore, una volta approvato il rendiconto, presenta ricorso per decreto ingiuntivo. Ne seguiva un giudizio di opposizione basato anche su presunti profili di illegittimità della delibera di approvazione del rendiconto. La causa, sia nel primo grado sia in appello, ha visto la condomina soccombere. Da qui il ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata. Si legge nella pronuncia in esame che “l'amministratore di condominio può e deve ricorrere al procedimento monitorio ex art. 63 disp. Att. C.p.c., così come nella fattispecie, allorquando un condomino sia moroso rispetto alle quote addebitategli a seguito di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea dei condomini. [...].

Non solo – proseguono gli ermellini – “deve, peraltro, rammentarsi che - secondo nota ed univoca giurisprudenza - l'opposizione del condomino al D.I. ex art. 63 cit. non può mai estendersi a questioni relative alla annullabilità o nullità della delibera condominiale di approvazione delle spese, delibera che dovrà impugnata separatamente ex art. 1137 c.c. (Cass. 19 marzo 2014, n. 6436).

L'amministratore può e deve agire con ricorso per decreto.

È questa la prima particolarità della sentenza che merita d'essere presa in considerazione. Già prima dell'entrata in vigore della riforma, l'amministratore aveva l'obbligo di riscuotere i contributi condominiali e, nel caso di morosità, poteva farlo anche per via giudiziale ed in modo piuttosto rapido grazie al ricorso di cui all'art. 63 disp. att. c.c. Tale obbligo, tuttavia, non era ancorato a dei tempi certi.

La riforma ha specificato che, salvo espresse dispense assembleari, “l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell'articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del presente codice” (art. 1129, nono comma, c.c.).

L'azione legale di recupero del credito, dunque, diviene obbligatoria trascorsi sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigile (ossia scaduto) è compreso. Ciò sta a significare che non è necessaria l'approvazione dei conti da parte dell'assemblea, tant'è che la norma appena citata specifica che l'azione dell'amministratore può essere fondata (ma non solo) sull'art. 63 disp. att. c.c.

Come dire: se i condomini cincischiano e non approvano per evitare azioni legali contro i morosi, l'amministratore deve comunque agire o con un'ordinaria azione civile o, laddove sia possibile, con un decreto ingiuntivo “semplice” (ossia non provvisoriamente esecutivo).

Delle possibili utilizzazioni strumentali dell'esonero dall'azione deliberabile dall'assemblea parlammo in questo articolo: Riforma del condominio: perché dal 18 giugno per i condomini morosi potrebbe essere (ancora) più facile non pagare? Riforma del condominio: perché dal 18 giugno per i condomini morosi potrebbe essere (ancora) più facile non pagare?

Motivi di opposizione scollegati dalla validità della delibera.

La Cassazione, con la sentenza in esame, ci ha anche ricordato che i motivi di opposizione a decreto ingiuntivo non possono mai essere fondati su questioni attinenti la validità della delibera, perché questi possono essere fatti valere solamente con un'impugnazione ai sensi dell'art. 1137 c.c. Ciò naturalmente, se ricorrono le condizioni, non vieta che il condomino, in sede di giudizio di opposizione, possa formulare domanda riconvenzionale finalizzata ad ottenere l'invalidazione della delibera e, di conseguenza, l'annullamento del decreto.

Articolo di Avv. Alessandro Gallucci
Fonte: CondominioWeb.com