Quando la musica diventa rumore e disturba i condomini

12.11.2013 13:03

Il riposo non ha orari.

Al di là dei gusti e delle preferenze musicali non a tutti può far piacere avere un provetto Beethoven come vicino di casa: non è infatti scontato che il suono di un pianoforte sia di gradevole compagnia per tutti e soprattutto non è scontato che chiunque lo voglia ascoltare, potendo invece questo risultare molesto, indipendentemente dall’orario in cui il vicino ci dedichi un concerto.

È questo il principio sancito in sintesi dalla Cassazione in una recentissima pronuncia con la quale è tornata a ribadire l’importanza del “riposo delle persone”, concetto cardine e bene tutelato dal reato contravvenzionale previsto dall’art. 659 del cod. pen.: la prima sezione penale del Supremo Collegio, infatti, nella sentenza n. 44916 del 07/11/2013 ha confermato quanto già chiarito in passato, ossia che “il disturbo delle persone ha rilevanza penale anche se consumato nelle ore pomeridiane”.

Invero il reato di cui all’art. 659 cod. pen. è consumato anche se il rumore molesto non giunga nelle ore notturne, “poiché per riposo non deve intendersi esclusivamente il sonno notturno, ma anche il riposo in senso lato che può essere costituito da una pausa del lavoro o, semplicemente, dall'ozio, realizzabile pure in ore diurne” (Cass. Pen. Sez. I, sent. n. 1005 del 12/01/1996): quindi, “ la circostanza della produzione di rumori solo di giorno non può escludere la potenzialità degli stessi ad arrecare disturbi al riposo delle personez” (Cass. Pen. 1005/1996).

Anche la musica può essere un disturbo se supera la “normale tollerabilità”. Chiarito come le diffusioni acustiche assumano rilevanza penale indipendentemente dall’orario in cui vengono propagate è necessario puntualizzare che anche il suono di per sé soave ed elegante di un pianoforte può costituire molestia, ove sia questo ad impedire il riposo delle persone, superando la “normale tollerabilità”, diventando così potenzialmente dannoso per un numero più o meno ampio di persone: è quanto avviene ad esempio nel caso di esercizi costanti e sistematici al pianoforte ripetuti quotidianamente anche per sette ore al giorno (Cass. Pen., Sez. VI, sent. del 07/12/1979).

L’elemento chiave per determinare se un dato rumore sia o meno molesto è quindi quello della “normale tollerabilità”, concetto che esula dalla percezione soggettiva che uno o più individui fanno di un determinato rumore e che va valutato caso per caso mediante, ove necessario, l’ausilio di strumenti di misura che determino, ad esempio, se le irradiazioni sonore in esame superino la media di rumore cui gli abitanti di una determinata zona sono usualmente esposti.

Per stabilire se l'uso di uno strumento sonoro superi il limite della normale tollerabilità non basta quindi che esso risulti fastidioso per una o più persone ma occorre procedere ad un rigoroso accertamento tecnico, con la valutazione globale delle circostanze che accompagnano le irradiazioni acustiche nella specifica situazione di tempo e di luogo, non essendo sufficiente l'apprezzamento delle sensazioni e delle reazioni prodotte in alcuni soggetti, escussi come testi. (Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 9461 del 22/06/1994).

La “normale tollerabilità”.

Particolare importanza riveste quindi il concetto della “normale tollerabilità”, richiamato anche dal codice civile (il cui art. 844 impone l’accettazione di quelle immissioni, anche sonore, provenienti dal fondo vicino che non superino, appunto la normale tollerabilità), elemento chiave per determinare se un rumore o un suono che stanno disturbando il riposo sia molesto e rientri nella fattispecie di cui all’art. 659 cod. pen. o meno.

Non è semplice dare una definizione precisa e standard ad un concetto così soggettivo, al di là del tentativo di disciplinarlo compiuto dal D.P.C.M. 14 novembre 1997, col quale, in attuazione di quanto previsto dalla Legge 26/10/1995 n. 447 (Legge quadro sull’inquinamento acustico), si è appunto cercato di stabilire dei livelli massimi di tollerabilità per le emissioni e le immissioni sonore: quello che conta dal punto di vista penale è non è tanto che i rumori superino la normale tollerabilità quanto la loro potenzialità offensiva, ossia che essi abbiano la capacità di disturbare la quiete ed il riposo di più soggetti.

Ciò rende meno importante il concetto di tollerabilità potendo essere penalmente irrilevante un rumore seppur superi la normale tollerabilità: si pensi, su tutte, al caso di suoni emessi non nelle ore di riposo. I cani ed il loro (non) diritto ad abbaiare. Un cenno particolare merita inoltre un’altra fonte di frequentissime discussioni tra vicini, toccata anch’essa dall’accennata sentenza del 7 novembre della Corte di Cassazione: l’abbaiare dei cani.

I supremi Giudici hanno infatti confermato come siano penalmente responsabili, sempre per il reato di cui all’art. 659 cod. pen., i padroni di un cane per il suo abbaiare ove questo assuma contorni molestia, ossia dove per petulanza e frequenza finisca per ledere il diritto al riposo ed alla quiete dei vicini di casa. Nella sentenza in parola si ricorda come questo principio fosse già stato sancito in una precedente pronuncia della Cassazione che nel 2001 ebbe infatti modo di affermare che “ rispondono del reato di cui all'art. 659 comma 1 c.p. un uomo e una donna che non impediscono il molesto abbaiare, anche in ore notturne, di due cani di loro proprietà, custoditi nel cortile di un edificio condominiale” (Cass. Pen., Sez. I, sent. n. del 19/04/2001).

Non esiste un diritto esistenziale del cane ad abbaiare, quindi (come aveva sostenuto, ricorrendo per Cassazione, l’imputato condannato in primo grado per il reato di cui all’art. 659 cod. pen.), o per lo meno se questo diritto esiste esso non può prevalere su quello altrui di riposare e godere a tal fine della normale quiete dei luoghi.

di Avv. Mauro Blonda
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