Proprietari di villette a schiera e contestazione delle spese perchè si ritengono esclusi dal condominio

28.10.2014 16:03

Se un atto d'acquisto di un'unità immobiliare ubicata in condominio (o comunque nell'ambito di un condominio orizzontale) prevede che delle parti (beni servizi o impianti) siano comuni, allora quelle devono essere considerate in comproprietà anche se un sussistono i requisiti per considerarle condominiali.

Con una conseguenza: se quelle parti comuni appartengono anche ai contestatori, questi devono pagare le spese condominiali di gestione e conservazione delle medesime.

Questa, in sostanza, la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 20986 resa dalla Seconda Sezione Civile e depositata in cancelleria il 6 ottobre 2014.

L'arresto degli ermellini è interessante in quanto permette di ricordare che per parlare di condominio, è si necessario indagare la funzione delle parti comuni, ma che al contempo l'atto d'acquisto (il così detto titolo) può spazzare ogni dubbio quanto meno in relazione alla comproprietà (in comunione) di determinati beni.

Nel caso di specie due parti, dei proprietari di una villetta, gli attori, ed un condominio, il convenuto, litigavano in merito alla partecipazione dei primi alla compagine; gli attori ritenevano di non aver nulla a che fare con alcune parti comuni del condominio confinante. La causa si allargava in quanto veniva unita ad altra avente ad oggetto un'opposizione a decreto ingiuntivo per omesso pagamento delle spese condominiali. Insomma i proprietari della villetta non volevano avere a che fare con il condominio e si opponevano ad esso in ogni sede. Dopo che la causa ha avuto alterne soluzioni nell'ambito dei giudizi di merito, s'è arrivati davanti alla Corte di Cassazione.

Prima di analizzare nel dettaglio l'esito sintetizzato in principio, è utile ricordare alcune nozioni.

La nozione di condominialità. Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione il. diritto di condominio opera ed applicabile allorquando sussista una relazione di accessorietà fra le parti comuni (beni, impianti o servizi comuni) “e l'edificio in comunione, nonché un collegamento funzionale fra i primi e le unità immobiliari di proprietà esclusiva. Pertanto, qualora, per le sue caratteristiche strutturali, un bene serva al godimento di tutte le parti singole dell'edificio e sia ad esse funzionalmente collegato, si presume indipendentemente dal fatto che la cosa sia, o possa essere, utilizzata da tutti i condomini, o soltanto da alcuni di essi, e dalla entità del collegamento e della possibile utilizzazione concreta - la contitolarità necessaria di tutti i condomini sul bene” (così Cass. 21 dicembre 2007, n. 27145).

È bene ricordare che l'art. 1117 c.c. non contiene un'elencazione tassativa delle parti comuni, sicché ogni bene, servizio o impianto che possiede i requisiti di cui parla la Cassazione nella sentenza succitata può essere considerato in condominio.

Presunzione di condominialità: chi decide?

E se una cosa non ha quei requisiti ma è comunque menzionata negli atti d'acquisto come bene comune, tra l'altro con specifica menzione della quota di proprietà? In tal caso, dice la Suprema Corte nella sentenza n. 20986, i beni in questione devono considerarsi in comproprietà quanto meno nella formula della comunione volontaria. Tra l'altro nel caso di specie, sia pur in minima parte, i beni che legavano i proprietari della villetta al condominio avevano una minima utilità nel godimento del primo immobile.


Articolo di Avv. Alessandro Gallucci
Fonte www.condominioweb.com