La legittimazione ad agire in giudizio dell'amministratore di condominio.

17.10.2014 09:34

Il principio di diritto.

L'amministratore di condominio non è legittimato all'esperimento delle azioni reali contro singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell'edificio, senza autorizzazioni espresse e specifica dell'assemblea, a meno che non rientrano nel novero degli atti conservativi.

E' quanto ha stabilito la Sentenza 13 gennaio 2014 del Tribunale di Milano, confermando un "proprio" indirizzo consolidatosi nel tempo (in senso conforme, Tribunale Milano, sez IV, 26/01/2012; 20/04/2012).

Il caso.

Due condomini degli edifici - costruiti, a suo tempo, dal medesimo costruttore - litigavano in ordine alla gestione "comune" dell'utenza idrica, posta a servizio di entrambi i fabbricati. In particolare, con citazione in giudizio, il condominio lamentava l'allaccio alla propria utenza del condominio convenuto, ovvero chiedeva che gli venisse ordinato di distaccarsi dal proprio contatore (sì da evitare l'applicazioni delle penali previste dal regolamento dell'ente somministrante, nel caso in cui il contatore facente capo a due o più utenze distinte).

Il condominio convenuto si costituiva in giudizio e contro deduceva, in particolare, la carenza di legittimazione ad agire dell'attore. Opinava che la domanda da questi rassegnata, ove fondata sulla posizione di esclusivo proprietario, avrebbe dovuto essere qualificata come un'azione negatoria servitutis (art. 949 cod. civ.), relativamente alla quale nè l'amministratore, né l'assemblea condominiale hanno attribuzioni, in quanto soltanto i singoli condomini sarebbero abilitati a far valere ed a tutelare i loro diritti reali.

La Sentenza.

In punto di Supercondominio. Il Giudice adito, intanto, ha contestualizzato la vicenda nell'ambito del Supercondominio - che sorge, anch'esso, ipso iure et facto con la comunione di cui all'art 1117 c.c. (Cass. Civ, sez II, 31/01/2008 n 2305; 17/11/2010, n 13883)- , stante che tra i due condomini in giudizio esistono servizi comuni, quale quello idrico; tra l'altro, definito come assolutamente necessario e ineliminabile per consentire l'abitabilità degli edifici per civile abitazione.

In effetti, in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell'edificio elencate in via esemplificative dall'art 1117 c.c. alle proprietà singole - se il contrario non risulta dl titolo -, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso, la nozione di condominio in senso proprio è configurabile non solo nell'ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale ma anche nel caso di costruzioni adiacenti orizzontalmente (come in particolare le cosiddette case a schiera), in quanto siano dotate delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dal citato art. 1117 c.c.. Peraltro, anche, quando manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, non può essere esclusa la condominialità' neppure per un insieme di edifici indipendenti, giacché, secondo quanto si desume dagli articoli 61 e 62 Disp. Att. c.c. - che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui un gruppo di edifici si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi - è possibile la costituzione ab origine di un condominio fra fabbricati a sé stante, avente in comune solo alcuni elementi, o locali, o servizio impianti condominiali; dunque, per i complessi condominiali, che comprendono più edifici, seppure autonomi, è rimessa all'autonomia privata la scelta se dare luogo alla formazione di un unico condominio, oppure di distinti condomini per ogni fabbricato, cui si affianca in tal caso, la figura di elaborazione giurisprudenziale del "Supercondominio", al quale sono applicabili le norme relative al condominio in relazione alle parti comuni, di cui all'articolo 1117 c.c. (in senso conforme: Cass. Civ. Sez. II 18/04/2005;Cass. Civ. Sez II 09/06/2019, n 13883).

In punto di servitù di presa d'acqua. Così inquadrata la fattispecie trattata, risultava agli atti, tuttavia, che nessuna delle parti in giudizio reclamava la risoluzione della questione di diritto nell'ambito propriamente del "Supercondominio". Per converso - è almeno questo il quadro tratto dal Giudice - la vicenda giuridica e fattuale andava risolta nel l'alveo dei c.d. "diritti reali", e, in particolare, in quello che disciplina la servitù pedriale. Costituiva fatto pacifico tra le parti l'esistenza, quantomeno, di una servitù istituita in favore del condominio convenuto, avente ad oggetto l'allaccio della propria condotta idrica a quella del condominio attore, in virtù di destinazione di padre di famiglia. Nel caso in particolare (servitù di presa d'acqua) risulta applicabile l'articolo 1062 cod. civ. per cui si ha costituzione per destinazione del padre di famiglia tutte le volte in cui l'originario unico proprietario, imprimendo una oggettiva situazione di subordinazione o di servizio tra i fondi, abbia collocato in quello servente delle tubazioni per la conduzione del acqua che, fuoriuscendo dai pozzi ed essendo idonee ad irrigare il fondo dominante nel quale confluiscono, siano non soltanto visibili, ma anche stabilmente destinate a soddisfare le esigenze idriche del secondo (ex multisala, Cass. Civ., se. II, 22/06/2007n 14654). => Quando l'amministratore di condominio può agire in giudizio senza rivolgersi ad un avvocato?

In punto di carenza di legittimazione attiva.

Tutto ciò posto non residuava che verificare se l'amministratore del condominio attore fosse stato legittimato ad agire in giudizio per far accertare l'insussistenza del diritto di servitù del condominio convenuto, sulla presa dell'acqua di cui trattasi (actio negatoria servitutis), oppure meno.

Ebbene, per il Giudice meneghino tale legittimazione non solo mancava, ma era divenuta ormai insanabile, stante la natura dell'azione esercitata.

Ed invero. La richiesta di declaratoria dell'illegittimo allaccio di tali condutture, può implicare soltanto una azione negatoria della eventuale servitù di allaccio, della cui legittimità deve discutersi e decidersi. A tale proposito è principio fermo nella giurisprudenza - al quale il giudicante ha ritenuto opportuno uniformarsi, non rinvenendo motivi per differenziarsi - che, mentre la legittimazione dell'amministratore del condominio dal lato passivo ai sensi dell'art. 1131 c.c., secondo comma, non incontra limiti e sussiste, anche in ordine all'interposizione d'ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario, in relazione ad ogni tipo d'azione, anche reale o possessoria, promossa nei confronti del condominio da terzi o da un singolo condomino; viceversa, la partecipazione dei condomini al giudizio, concorrente con quella dell'amministratore, si rende necessaria nella diversa ipotesi di pronunzia emessa sia sulla questione pregiudiziale d'accertamento dell'inesistenza della servitù - evocata con la proposizione della "negatoria servitutis" - che sul merito - domanda di rimozione dell'opera sulla cosa comune integrante la servitù - in presenza di proposizione congiunta di entrambe le questioni (in senso conforme: Cass. civ., Sez. II, 04/05/2005, n.9206).

In conclusione.

In considerazione di tali orientamenti giurisprudenziali, si può concludere affermando il principio per cui ogni qual volta un amministratore agisca in giudizio al fine di far valere la titolarità di un diritto reale e/o al fine di escludere dal novero della stessa terzi soggetti (come avvenuto nel caso in specie) deve:

- dapprima, contestualizzare l'azione nell'ambito del condominio e/o del supercondominio (art. 117 bis c.c.) a cui faccia eventualmente capo;

- in seguito, curare l'allegazione del verbale assembleare contenente la delibera di autorizzazione e/o ratifica alla "lite" (quest'ultima incombenza - come visto sopra - a pena d'inammissibilità).

Con la delibera della maggioranza l'amministratore può agire per rivendicare la proprietà di una parte comune


Articolo di Avv. Dolce Rosario
Fonte www.condominioweb.com