Edilizia: differenza tra varianti in senso proprio, varianti essenziali e minime

24.02.2015 20:25

La vigente normativa edilizia riconosce la possibilità di assentire varianti al progetto approvato. La giurisprudenza distingue, in proposito, tra varianti in senso proprio, varianti essenziali e varianti minime (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2007 n. 1572; Cass. pen., sez. III, 24 marzo 2010 n. 24236; 25 settembre 2012 n. 49290).

a) Per quanto riguarda le c.d. varianti in senso proprio, deve rilevarsi che non tutte le modifiche alla progettazione originaria possono definirsi varianti e che queste si configurano solo allorquando il progetto già approvato non risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato.

La nozione di variante deve, cioè, ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto originario, e gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, sono la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato. Il nuovo provvedimento – da rilasciarsi col medesimo procedimento previsto per il rilascio del permesso di costruire – rimane in posizione di sostanziale collegamento con quello originario, e in questo rapporto di complementarità e di accessorietà deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso di costruire in variante, che giustifica, tra l'altro, le peculiarità del regime giuridico cui esso soggiace sul piano sostanziale e procedimentale (in particolare, restano salvi tutti i diritti quesiti, e ciò specialmente a fronte di una contrastante normativa sopravvenuta, che, se non fosse ravvisata l'anzidetta situazione di continuità, potrebbe rendere irrealizzabile l'opera).

b) Costituisce, poi, c.d. variante essenziale ogni modifica incompatibile col disegno globale ispiratore dell’originario progetto edificatorio, sia sotto l'aspetto qualitativo sia sotto l'aspetto quantitativo.

Ai fini della configurazione dell'ambito di tale istituto, soccorre la definizione di variazione essenziale enunciata dall’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, la quale ricomprende il mutamento della destinazione d'uso implicante alterazione degli standards, l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, le modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi, il mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito e la violazione delle norme vigenti in materia antisismica, mentre non ricomprende le modifiche incidenti sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.

Le domande di esecuzione di varianti essenziali sono, dunque, come tali, da considerarsi sostanzialmente volte al rilascio di un nuovo ed autonomo permesso di costruire e, conseguentemente, assoggettate alle disposizioni vigenti nel momento in cui sono presentate, non trattandosi, con esse, solo di modificare il progetto iniziale, ma di realizzare un'opera diversa, nelle sue caratteristiche essenziali, rispetto a quella originariamente assentita.

c) Caratteri peculiari presentano, infine, le c.d. varianti minori. In proposito, l’art. 22, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 prevede che sono subordinate a d.i.a. (ora s.c.i.a.) le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire. In tali ipotesi, la d.i.a. costituisce "parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale" e può essere presentata prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori: la formulazione dell'art. 22 consente, pertanto, la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori, purché si tratti – come si è visto – di ‘varianti leggere’.

... In altri termini, una volta accertato che gli interventi edilizi erano difformi dal paradigma normativo (art. 22 del d.p.r. n. 380/2001), l’amministrazione comunale, anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001, è rimasta nella condizione di esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2005 n. 3498; 12 settembre 2007 n. 4828; 18 dicembre 2008 n. 6378; 12 febbraio 2010 n. 781) e, più in generale, i poteri di controllo sulle attività edilizie per il quale l’art. 27 del d.p.r. n. 380/2001 cit. non prevede alcun termine decadenziale (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 4 ottobre 2007 n. 8951). Ciò posto, essendosi riscontrate variazioni essenziali ex art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, i poteri anzidetti si sono correttamente incanalati nell’alveo naturale e vincolato del ripristino dello stato dei luoghi.

L'irrogazione di una sanzione diversa da quella ripristinatoria non è, infatti, contemplata dall’art. 31 del d.p.r. n. 380/2001, cui – come accennato – risulta senz’altro riconducibile la fattispecie in esame (opere eseguite con variazioni essenziali rispetto al rilasciato permesso di costruire) (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 7 settembre 2009, n. 4899); laddove, invece, la sanzione pecuniaria è prevista unicamente per le diverse ipotesi di opere di ristrutturazione eseguite in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire ovvero di opere di nuova costruzione eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire ovvero di opere minori eseguite in assenza o in difformità dalla prescritta d.i.a. (ora s.c.i.a.). “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, – recita il comma 2 del richiamato art. 31 – accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”: nello schema giuridico delineato dal legislatore, non vi è, cioè, spazio per apprezzamenti discrezionali sulla sanzione da irrogare, atteso che l'esercizio del potere repressivo dell'abuso edilizio costituisce atto dovuto, per il quale è ‘in re ipsa’ l'interesse pubblico alla sua rimozione (TAR Campania, Napoli, sez. II, 27 gennaio 2009, n. 443; sez. VIII, 11 ottobre 2011, n. 4645).

2. I superiori approdi – quanto, precipuamente, al mancato consolidamento degli effetti delle d.i.a. presentate per interventi esulanti dal relativo regime abilitativo e, quindi, quanto alla diretta irrogabilità della sanzione reale, senza l’intermediazione delle garanzie dell’autotutela, operanti in esito al prodursi degli effetti anzidetti (cfr. art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990) – inducono a ripudiare anche i motivi di impugnazione intesi a denunciare, da un lato, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento e, d’altro lato, l’omessa ponderazione tra l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi e il confliggente affidamento dei privati nella conservazione delle opere eseguite.

2.1. Sotto il primo profilo, deve osservarsi che, l’ordinanza di demolizione, per la sua natura di atto urgente dovuto e rigorosamente vincolato, non implicante valutazioni discrezionali, ma risolventesi in meri accertamenti tecnici, fondato, cioè, su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo dell’interessato, non richiede apporti partecipativi di quest’ultimo, il quale, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell'abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell'originario assetto dei luoghi, viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l'amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d'ufficio delle opere abusive; tanto più che, in relazione ad una simile tipologia provvedimentale, può trovare applicazione l’art. 21 octies della l. n. 241/1990, che statuisce la non annullabilità dell’atto adottato in violazione delle norme su procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2007, n. 1021; sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5050; 10 agosto 2011, n. 4764; TAR Lazio, Roma, sez. II, 3 luglio 2007, n. 5968; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 17 gennaio 2007, n. 357; sez. VI, 8 febbraio 2007, n. 961; sez. IV, 22 marzo 2007, n. 2725; sez. VII, 9 maggio 2007, n. 4859; 8 giugno 2007, n. 6038; Salerno, sez. II, 13 agosto 2007, n. 900; Napoli, sez. IV, 6 novembre 2007, n. 10676; 6 novembre 2007, n. 10679; sez. VII, 12 dicembre 2007, n. 16226; sez. IV, 17 dicembre 2007, n. 16316; sez. VII, 28 dicembre 2007, n. 16550; sez. IV, 24 gennaio 2008, n. 367; 21 marzo 2008, n. 1460; sez. VII, 21 marzo 2008, n. 1474; 4 aprile 2008, n. 1883; sez. III, 16 aprile 2008, n. 2207; sez. IV, 18 aprile 2008, n. 2344; sez. VI 18 giugno 2008, n. 5973; TAR Umbria, Perugia, 26 gennaio 2007, n. 44; TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 8 febbraio 2007, n. 52; TAR Molise, Campobasso, 20 marzo 2007, n. 178; TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, 20 aprile 2007, n. 709; sez. VII, 9 maggio 2007, n. 4859; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 16 febbraio 2008, n. 33; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 26 febbraio 2008, n. 454; 13 marzo 2008, n. 605; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 20 settembre 2008, n. 2651).

2.2. Sotto il secondo profilo, occorre rimarcare che la gravata misura repressivo-ripristinatoria rimane affrancata dalla ponderazione discrezionale dell’interesse privato al mantenimento in loco della res, in quanto costituisce – come più volte evidenziato – atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove il preminente interesse pubblico risiede in re ipsa nell’eliminazione dell’abuso e, stante il carattere permanente di quest’ultimo, non viene meno per il mero decorso del tempo, insuscettibile di ingenerare affidamenti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79; sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592; TAR Campania, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 17306; sez. VII, 3 novembre 2010, n. 22291; sez. VIII, 5 gennaio 2001, n. 4; 6 aprile 2011, n. 1945; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 10 settembre 2010, n. 1962; 9 novembre 2010, n. 2631; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 19 novembre 2010, n. 4164; TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 dicembre 2010, n. 35404; TAR Liguria, Genova, sez. I, 21 marzo 2011, n. 432).

3. I ricorrenti lamentano, infine, che l’impugnata ordinanza di demolizione n. 10 del 18 febbraio 2014 non sarebbe stata notificata ad altri proprietari delle unità immobiliari da essa riguardate. Una simile doglianza è inammissibile, oltre che infondata nel merito.

a) Inammissibile per carenza di interesse ad agire, in quanto l’omessa notificazione del provvedimento monitorio sarebbe censurabile esclusivamente dai soggetti nel cui interesse la comunicazione stessa è posta (nella specie, gli altri proprietari dei sottotetti contestati), e non da quelli che l’hanno regolarmente ricevuta (nella specie, i nominativi in epigrafe), stante la funzione dell’istituto, consistente nella esigenza di portare a conoscenza dell’atto il suo destinatario onde ottenerne la personale collaborazione procedimentale (cfr. TAR Lazio, Latina, 3 gennaio 2008, n. 1).

b) Infondata, altresì, in quanto la mancata notificazione ai terzi proprietari non inficia, di per sé, la fase di formazione, e, quindi, la legittimità del provvedimento impugnato, bensì incide, semmai, sulla relativa fase integrativa dell’efficacia, e, quindi, sulla sua conoscibilità da parte degli interessati (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 25 marzo 2009, n. 1607): ed invero, ai fini della legittimità dell’iter procedimentale posto in essere dall’amministrazione per il ripristino dei valori giuridici offesi dalla realizzazione di un opera abusiva, il proprietario pretermesso, da un lato, può, comunque, autonomamente gravarsi nei confronti del provvedimento sanzionatorio, facendo valere le proprie ragioni entro il termine decorrente dalla piena conoscenza dell'ingiunzione, e, d’altro lato, mantiene appieno tutelata la propria posizione, dacché l'acquisizione gratuita dell’immobile in sua titolarità per abusi edilizi non potrebbe verificarsi, ove non gli fosse stata notificata la previa ingiunzione di demolizione (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 19 ottobre 2006, n. 8673; sez. VI, 4 ottobre 2007, n. 8921; 12 febbraio 2008, n. 742; sez. II, 18 novembre 2008, n. 19800; sez. VIII, 24 giugno 2009, n. 3503; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 17 gennaio 2007, n. 34; TAR Lazio, Roma, sez. II, 3 luglio 2007, n. 5968; TAR Abruzzo, Pescara, 5 luglio 2007, n. 672; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 25 giugno 2009, n. 1171).

A cura del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Tar Campania Napoli Sez. VIII del 19.2.2015

Fonte: Gazzetta Amministrativa