Condannato il «ladro» di intercapedini condominiali per occupazione abusiva.

28.10.2014 16:01

L'occupazione di parti comuni può costare caro ai condòmini e/o a terzi, se non giustificata preliminarmente da una apposita autorizzazione. Condannato il condomino che ingloba l'intercapedine condominiale nel garage

Il principio. Le “intercapedini” rientrano - in genere e fatto salvo quanto disposto, diversamente, dal titolo - tra le “parti comuni” di un edificio condominiale ex art.1117 c.c.;costituendo vuoti che separano le pareti verticali di più proprietà; ovvero“spazi tecnici finalizzati all'alloggio e al passaggio di impianti, nonché posti a protezione dell'intero piano cantinato dall'umidità di risalita d el terreno limitrofo o retrostante … …” (vedi definizione data dalla CTU condotta nel caso in specie).

Ne discende che la relativa occupazione abusiva legittima l'amministratore del condominio all'esercizio di un'azione di rivendicazione nei confronti di chi le abbia sottratte alla destinazione, da accompagnare con quella volta ad ottenere il risarcimento del danno (Sentenza del Tribunale di Catania del 12 ottobre 2014).

Il caso. Con ricorso sommario il Condominio di Via Caio in Catania chiedeva al Tribunale adito di condannare Tizio al rilascio delle intercapedini condominiali, illegittimamente occupate e di fatto annesse al relativo garage. Al pari, chiedeva il pagamento di una somma, rimessa al prudente apprezzamento del giudice, a titolo risarcitorio o indennitario. Tizio si costituiva in giudizio contestando l'addebito, ed anzi eccependo, preliminarmente al merito, il difetto di legittimazione passiva e quant'altro potesse, astrattamente, contrapporsi alla pretesa avversaria.

La Sentenza. Con riferimento all'azione reale. L'esatto inquadramento dell'azione esperita dal Condominio ricorrente è stato, intanto, ricondotto nell'alveo dell'azione petitoria (rivendicatoria e non possessoria), ai sensi dell'articolo 949 c.c.. In quanto tale, è stata respinta la (prima) eccezione preliminare rassegnata da Tizio circa la propria carenza di legittimazione passiva a rispondervi.

Sia nell'azione reale di rivendicazione, sia in quella personale di rilascio per detenzione senza titolo, d'altra parte, la legittimazione passiva compete al soggetto che – secondo prospettazione dell'attore – sia di fatto illegittimamente nel possesso o nella detenzione del bene preteso” (cfr, da ultimo, Cassazione Civile, Sez. II, 25/05/2012, n. 8363).

Sul merito della vicenda, è stato così rilevato:

  • da una parte e a mezzo di Consulenza tecnica di Ufficio (CTU), che le “intercapedini” in questione rientrano tra i beni comuni del Condominio di Via Caio, essendo state le stesse indicate, nei titoli di acquisto originari delle singole proprietà, quali confini tra gli spazi individuali e quelli comuni;
  • e dall'altra parte, che Tizio occupava abusivamente tali spazi “comuni” (da cui la successiva condanna a provvedere al rilascio).

Con riferimento alla domanda di risarcimento del danno. Considerato che la lesione della “proprietà immobiliare” comporta una limitazione al godimento del bene, e quindi, all'esercizio di una delle facoltà che si riconnettono al diritto sancito dalla carta fondamentale (art. 42 Costituzione), il privato che se ne duole ha diritto alla doppia tutela:

  • all'eliminazione dello stato di cose che si è illegittimamente creato;
  • al risarcimento del danno patito medio tempore (si veda all'uopo quanto sancito dall'art. 949 c.c.).

Sotto tale ultimo profilo – come è stato argomentato in sentenza - il danno è in re ipsa, perché l'azione risarcitoria è volta a porre rimedio all'imposizione di una servitù di fatto o alla privazione della disponibilità e alla conseguente diminuzione di valore del fondo subita dal proprietario in conseguenza del comportamento illegittimo, per il periodo di tempo anteriore all'eliminazione dell'abuso.

La quantificazione del danno. La perdita della disponibilità delle intercapedini e della funzione che le era propria per parecchi anni a danno del condominio ricorrente è, per il Giudice adito, suscettibile di essere valutata economicamente.

Al fine, il decidente non ha utilizzato il parametro figurativo del valore locatizio dell'area (ritenuto inadeguato al caso), ma è ricorso ad una valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ.. Donde, Tizio è stato condannato – oltre che al rilascio delle intercapedini occupate - al pagamento della somma di euro cinquemila a titolo di risarcimento del danno per occupazione sine titulo, ovvero per violazione del diritto di proprietà altrui (durante il periodo in disamina) e alla somma di euro mille per aver resistito in giudizio in mala fede ex art. 96 c.p.c. (danno da lite temeraria).

Conclusione. L'occupazione di parti comuni può costare caro ai condòmini e/o a terzi, se non giustificata, a monte, da un'autorizzazione di sorta - di natura assembleare o amministrativa - o meglio, da un titolo reale e voci di danno da richiedere, se del caso, sono eterogenee. La sentenza in commento (del Tribunale di Catania) offre un'esemplificazione di massima, da tenere in considerazione ogni qual volta ci si trovi davanti a casi simili.

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Articolo di Avv. Dolce Rosario
Fonte www.condominioweb.com